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Scuola di Cucina

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Il Mistero del Fungo

Il Mistero del Fungo.

Per secoli, l’uomo ha continuato a mangiare funghi senza sapere quasi nulla di loro, se non poche informazioni assunte in modo empirico. Di sicuro scoprì ben presto la loro squisitezza ma anche quanto potessero essere pericolosi.

Cos’avrà provato l’uomo preistorico la prima volta che si è imbattuto in u fungo? Stupore e curiosità? Timore e diffidenza? Forse tutte queste cose messe insieme. Perché i funghi sono attraenti, appetitosi, ma -persino oggi che  la scienza ce li mostra al microscopio- restano avvolti in un’aura di mistero. con la loro fora ad ombrello, compaiono quasi all’improvviso nei boschi e nei prati. Sembrano nascere dal nulla. Alcuni poi sono velenosissimi. L’uomo preistorico lo scoprì certo a sue spese.

Appetitosi da scoprire

Con buona probabilità, affermano gli studiosi, l’uso dei funghi come alimento ebbe inizio dunque nella preistoria. Prima di imparare a coltivare e allevare, infatti, l’uomo cacciava e raccoglieva. E tra le erbe e i frutti da raccogliere, in un autunno trovava anche i fughi. Alcuni eduli, altri letali. Imparò a conoscerli e a mangiarli e ne fece un’appetitosa fonte di cibo. Passarono i secoli, ma non il successo del fungo. Nel vicino Oriente, aveva un posto d’onore sulle mense degli antichi Egizi e dei Babilonesi. Nell’estremo Oriente, in Cina, in dai tempi più remoti i funghi erano chiamati con reverente rispetto “cibo degli dei”.

Temuti dai Greci…

Riguardo al consumo di funghi da parte dei Greci e dei Romani, invece, le notizie (non sempre buone) ci giungono da illustri storici e scrittori. Euripide riferisce in un suo brano di una donna che con la sua famiglia rimase ” strozzata per averli mangiati”. Erano un cibo gustoso, ma da cui stare in guardia. Per evitare inconvenienti, bisognava studiarli bene. Così, ecco le prime osservazioni “scientifiche” sui funghi e tartufi: le fece nel 300 a.C. Teofrasto, allievo e successore di Aristotele nella guida del Liceo. Senza mancare di elogiarli, ne rimarcava la mancanza di fiori, frutti, gemme o foglie. ciò rendeva la loro riproduzione un vero mistero.

… cantati dai Romani

Dall’Ellade il fungo arrivò a Roma, dove fu subito molto apprezzato dai buongustai ed esaltato dai letterati, come il poeta Giovenale – funghi e beccafichi era il suo piatto preferito-, Plutarco, lo scrittore greco che visse a Roma, e infine il poeta Orazio, che considerava i prataioli superiori a qualsiasi altro cibo.

Nei banchetti di età imperiale, i funghi non mancavano mai. Conferma la predilezione dei “cesari” per questo cibo il nome di un fungo, ancora oggi consumato con piacere dagli intenditori, il quale da allora porta il nome di Amanita caesarea. I funghi entrano così di prepotenza nella storia della biologia e della gastronomia. Il primo autore a descrivere dettagliatamente caratteristiche e qualità dei funghi fu Plinio il Vecchio, nella sua grande opera Naturalis Historia, mentre un suo contemporaneo e famoso buongustaio, Marco Gavio Apicio, ne codificò una lunga serie di ricette nel De re coquinaria.

A prova di scenziato

Per i successivi 1.500 anni, nessuno riuscì a dare una risposta esauriente circa la riproduzione e la crescita di questi strani organismi. Gli erboristi del Cinquecento si interessavano più alle proprietà terapeutiche di alcuni funghi che alla loro natura, e si accontentarono, di fatto, delle notizie ereditate dai Greci e dai Romani.

Nel 1552,il tedesco Gerolamo Bock scriveva che funghi e tartufi altro non erano che “l’umidità superflua della terra, degli alberi, del legno marcio e di altre sostanze in putrefazione”. L’ostacolo insormontabile, per la scienza del tempo, era l’apparente mancanza di qualsiasi tipo di processo riproduttivo, la cosiddetta – presunta- generazione spontanea dei funghi. Le spore fungine, responsabili della riproduzione, sono infatti microscopiche e gli strumenti dell’epoca non erano in grado di rilevarne l’esistenza. Il mistero, dunque, restò a lungo fittissimo.

La verità svelata

Ciò che oggi sappiamo sui funghi, grazie a studi di carattere tossicologico, ecologico, patologico e sistematico, è una recente conquista. Le scoperte decisive della micologia si devono infatti a studiosi del Novecento, come l’italiano Bruno Cetto.

A maggior ragione, quindi, rendiamo il giusto onore ad un altro italiano, Pietro Antonio Micheli, che nel Seicento, accorgendosi dell’esistenza di una particolare polvere emessa dai corpi fruttiferi maturi, riuscì a dimostrare che i funghi si riproducono per spore e, così, sradicare la millenaria convinzione sulla generazione spontanea.

Fonti Anita Tocci

 

 

L’Oliva. Civile e Leggendaria.

L’Oliva. Civile e Leggendaria.

La sua pianta è uno dei simboli più antichi del mondo mediterraneo, in quanto risorsa alimentare preziosissima ma anche segno di una civiltà evoluta.

L’uomo coltiva, e consuma, le olive da almeno 6.000 anni, dall’alba, cioè, delle prime grandi civiltà. Non si tratta di una semplice coincidenza. La coltura olivaria può infatti esistere soltanto nel contesto di una società stabile, e quindi dotata di un’organizzazione politica ed economica complessa, perché richiede approfondite conoscenze botaniche, pratiche agricole sofisticate e il perfezionamento di tecniche di lavorazione specialistiche.

Uno storico successo 

I primi alberi di olivo comparvero nell’Asia Occidentale, tra il Caucaso, le pendici Ovest dell’Altopiano Iraniano e le coste di Siria e Palestina. La loro coltivazione era però destinata a dilagare in tutta l’area mediterranea. Così, tra il 5.000 e 1.500 A.C., migliaia e migliaia di tronchi ritorti rivestiti di piccole foglie argentate presero a disegnare il paesaggio della Mesopotamia, di Creta e di tutta la Grecia, della Turchia del sud, di Cipro e dell’Egitto. Con l’espansione delle colonie greche, poi, nell’VIII secolo A.C. la coltura delle olive raggiunse il sud Italia ed il nord Africa e si propagò anche nel sud della Francia. Gli olivi furono successivamente piantati in tutto il mediterraneo sotto la dominazione romana. Secondo lo storico Plinio, la penisola italica produce il migliore olio d’oliva a prezzi ragionevoli già nel primo secolo dopo Cristo.

Le leggende dicono…

Quando si tratta di origini tanto antiche, ecco che a fiorire il dato storico intervengono la leggende. Così, pare che agli Egiziani l’olivo sia stato donato dalla potente Dea Iside, e che in Grecia sia spuntato grazie all’intervento della Dea Atena. Secondo la tradizione Ebraica, in Palestina la pianta era già conosciuta ai tempi di Adamo. Da sempre, e ovunque, l’olivo ha simboleggiato pace, fecondità, forza e purificazione. Una corona d’olivo, in Grecia, era il segno della vittoria nei giochi olimpici, a Roma era l’onorificenza che meritavano i cittadini più insigni. Inoltre, nel mondo antico era diffusa la credenza che l’olio do’oliva conferisse forza e giovinezza, in Egitto, in Grecia e a Roma un infuso d’olio profumato con i  fiori ed erbe era usato per produrre medicine e cosmetici.

L’Olivo dei Cristiani.

Per i Cristiani e prima ancora per gli Ebrei, l’olivo era ed è un segno di augurio e di pace. Fin dai tempi di Noè. La colomba che fece uscire dall’arca dopo il diluvio universale, tornò indietro con un ramoscello di ulivo nel becco. Fu grazie a quel segno che ” Noè comprese che le acque si erano ritirate dalla Terra” . Nella cultura Ebraica, poi, l’olio veniva usato per consacrare gli arredi di culto e i Sacerdoti. Il Cristianesimo ha ereditato dai ” Fratelli Maggiori” entrambi i simboli. Infatti, la Domenica delle Palme rami di olivo sono distribuiti ai fedeli in segno di festa e di pace, mentre l’olio compare nella maggior parte nei Sacramenti, dal Battesimo alla Cresima, dall’Ordinazione Sacerdotale all’Unzione degli infermi.

Il merito dei Monasteri

Nel Medioevo olive e olio d’oliva iniziano a scarseggiare in tutta Europa. L’olio vale talmente tanto da essere considerato come denaro contante. Sulla mensa dei ricchi è un emblema di opulenza. Sulla mensa dei poveri scompare del tutto. Olivi coltivati restano soltanto nelle terre di Monasteri e spetta ai Fratelli celari, responsabili della dispensa, distribuire ogni giorno a ciascuno l’olio necessario per condire i cibi. La destinazione principale dell’olio in questi secoli soprattutto liturgica: serve per impartire i sacramenti e per illuminare il Tabernacolo e l’Altare del Signore.

L’olio e la riforma.

Il mondo Cristiano ereditò dunque dai Greci e dai Romani la triade alimentare grano, vino, olio, consacrata dai significati simbolici di fondamentale importanza. Quando il Re franco Carlo Magno, nell’800, divenne Imperatore del Sacro Romano Impero, la conversione dei popoli ad esso sottomessi fu anche alimentare. Fu introdotta la regola del digiuno penitenziale. Per lunghi periodi la carne era sostituita dal formaggio, uova e pesce. E un grande ruolo toccò all’olio di oliva. La sua inarrivabile preziosità fu scalfita soltanto diversi secoli più avanti, con l’avvento della Riforma protestante, anche nel campo dell’alimentazione.

Lutero rimetteva la decisione alla coscienza del singolo, rilevando che la pretesa avversione nei confronti della carne e degli alimenti “grassi” non era deducibile dai Vangeli. Anche il burro ebbe così la sua temporanea rivalsa, e per qualche tempo lo si spalmò sul pane senza troppi pentimenti. Almeno fino ad una cinquantina di anni fa e alla “scoperta” da parte dei dietologi americani della dieta mediterranea, che restituì alle olive e all’olio lo scettro di alimenti superiori.

Non solo da spremere

Le olive ( quelle che non diventano olio) non sono quasi mai protagoniste di complesse preparazioni. Vengono conservate in salamoi e usate per arricchire e decorare pizze, insalate e pietanze di ogni tipo. Anzi, forse il meglio di se lo danno accompagnando un fresco aperitivo. Non bisogna però dimenticare che proprio la cucina italiana offre alle olive l’occasione per stupire. In Sicilia le più carnose sono imbottite con piccanti lingue di peperoni, mentre nella zona del Piceno, e in particolare ad Ascoli, le olive ripiene sono una tradizione antichissima. La ricetta prevede ingredienti gustosi: carne, formaggio, pane grattugiato, uova, farina, aromi a piacere, e soprattutto le olive più grandi e tenere. Pare che già ai tempi dei Romani in molti ne andassero pazzi. Lo conferma il Poeta Marziale, che nei suoi Epigrammi trova il modo di citare le olive del Piceno quali desiderabili prelibatezze.

Fonte Anita Tocci

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